Aborto, la Lombardia pronta a cambiare
Intervista su l'"Eco di Bergamo" a Roberto Formigoni.
Cominciamo dall'inizio: qual è il suo giudizio sulla legge 194?
«È molto semplice: all'epoca mi battei per abrogare la legge con il referendum, perché, da cattolico quale sono, la ritengo una legge sbagliata»
Tutta sbagliata?
«Tutta sbagliata no, tant'è che nella proposta fatta a suo tempo con il Movimento per la vita, chiedevamo una serie di opportuni cambiamenti all'impianto originale. Tuttavia, una volta diventata legge dello Stato, e soprattutto una volta diventato presidente di Regione Lombardia, ho sempre garantito che le strutture regionali permettessero l'utilizzo della legge, pur lavorando per utilizzarla al meglio, soprattutto in quella parte dell'articolo 1 dove sta scritto che lo Stato tutela la vita umana dal suo inizio, e proprio su questo tema abbiamo sempre fatto in modo che nelle strutture ospedaliere di Regione Lombardia ci sia sempre stata un'attenzione particolare. E questo grazie alla collaborazione e all'impegno di moltissimi medici, delle strutture ospedaliere e dei volontari dei Cav, i Centri di aiuto alla vita».
E come si è arrivati alla sua proposta di questi giorni?
«La nostra è una sperimentazione che pur svolgendosi pienamente all'interno della legge nazionale mira a dare più possibilità alla vita nascente, mettendo a disposizione della donna – di cui rispettiamo pienamente la libertà di scelta – una équipe di specialisti con cui consultarsi per individuare meglio le possibilità che sono date alla vita, avvalendosi anche dell'aiuto dei volontari dei Cav. Si è arrivati sin qui anche a seguito delle nuove scoperte scientifiche che consentono di far sopravvivere un feto nato anche prima delle 24ª settimana, e di quella costante ricerca della miglior qualità che è una caratteristica della nostra sanità».
Le due sperimentazioni milanesi nascono per iniziativa regionale o delle singole aziende ospedaliere?
«Difficile dirlo, nel senso che il colloquio è così quotidiano che le idee vengono insieme, anche se, ovviamente, è stato importantissimo il contributo di volontà, di idee e di iniziativa dei medici e degli ospedali. La paternità è comune da questo punto di vista, come del resto accade per tutte le proposte più avanzate. Da un parte c'è un atteggiamento molto positivo di medici, infermieri, responsabili di ospedali, anche di diverso orientamento, e dall'altra c'è una Regione sempre attenta a valorizzare tutto ciò che può dare nuove speranze, ed è proprio questo che ci fa eccellere».
Fino a che punto sarà vincolante la proposta regionale?
«Si tratta di direttive che andranno discusse e fatte proprie dai Comitati etici degli ospedali e quindi dai medici e dai primari. Non sono diktat, ma linee di indirizzo, dentro le quali l'azione degli ospedali e dei medici si deve muovere. Anche qui sarà necessario una fase di ulteriore confronto e collaborazione, anche se poi l'ultima valutazione spetta al medico».
Che risposta pensa di ottenere dagli ospedali?
«Le direttive regionali non sono diktat, ma nemmeno documenti che possono essere snobbati: al di là di tutto, mi aspetto una risposta positiva in tempi adeguati».
Quali?
«Vorremmo emanare le direttive entro fine gennaio, dopo di che ci vorrà qualche settimana, o qualche mese, secondo i casi. Mi attendo comunque un ritorno molto sollecito dalle strutture, anche perché sono abituate a reagire bene alle nuove provocazioni».
Nel documento in preparazione sono già indicati i termini esatti allo scadere dei quali scattano i nuovi vincoli?
«Non ancora. Ci riserviamo di valutare più in dettaglio il lavoro fatto nelle due strutture ospedaliere in questi mesi. Proprio per questo ci siamo dati tempo fino alla fine del mese».
Lei sembra ottimista di ricevere l'appoggio trasversale dei diversi schieramenti politici in campo: ne è così convinto?
«Se faccio riferimento alle modalità con cui il lavoro si è svolto nei due ospedali milanesi – dove ha avuto il sostegno unanime di tutti i medici e di tutto il personale, anche di diverso e diversissimo orientamento ideologico - dovrei essere ottimista. Sono comunque convinto che nelle prossime ore emergeranno prese di posizione che testimonieranno questo convincimento. Mi auguro che almeno questa volta il dibattito politico non avvenga sulla base di schieramenti preconcetti, ma sulla riflessione di ciò che è veramente accaduto: è una specificità lombarda, andiamone fieri e orgogliosi perché nel rispetto della legge nazionale si danno più possibilità alla vita. È un contributo straordinario, non un attacco alla 194, se non a quelli che leggono la 194 in una direzione unica, soltanto con gli occhiali dell'aborto a tutti i costi».
Il segretario regionale del Partito democratico, Maurizio Martina, considera il provvedimento che lei intende emanare «probabilmente illegittimo» e «inopportuno», un irrigidimento normativo «che rischia di essere dannoso e controproducente per gli stessi valori in gioco».
«Martina s'inventa i problemi da sè, si è inventato un irrigidimento legislativo cui Regione Lombardia non ha mai pensato, non a caso parliamo di linee di indirizzo e non di delibera. Il resto sono solo banalità, le sue. Mi lasci dire che le dichiarazioni del Pd sono francamente un po' deludenti e preconcette. Mi aspettavo, e mi aspetto ancora, qualcosa di più che non le solite reazioni difensive e imbarazzate: si riconosca che in Lombardia, da parte di un presidente di Regione e di assessori dichiaratamente antiabortisti, cattolici, si sono fatte sperimentazioni molto positive, che, nel rispetto della legge, danno maggiori speranze alla vita».
Sempre a sinistra c'è chi le contesta che la creazione di un pool di esperti sottragga di fatto la libertà di scelta della donna.
«Per carità, altro che dichiarazioni poco esaltanti come quelle del Partito democratico: qui siamo addirittura all'ideologismo più puro. Non credo che la libertà delle donne abbia bisogno di simili difensori: la possibilità di consultarsi in un momento così drammatico è una possibilità in più data alla libertà. Se ciascuno di noi, di fronte a qualunque scelta della vita, si può avvalere di un qualificato parere tecnico e scientifico, esprimerà una decisione più informata, e, se più informata, forse migliore, di certo non peggiore. Dopo di che, se qualcuno vuole utilizzare il proprio paravento ideologico per far cagnara, la faccia: non mi spaventa».
Il ministro per le Pari opportunità, Barbara Pollastrini, le manda a dire che non c'è alcun vuoto legislativo e che la 194 «è una legge saggia e lungimirante».
«L'ennesima posizione difensiva. Qui sono tutti terrorizzati: questi, che dovrebbero essere i progressisti, sono spaventati. Il ministro è spaventato, abbarbicato a tutela di una legge del 1978: sono passati trent'anni da allora, possibile che non si possa discutere di cambiare qualcosina? È cambiato il mondo in questi trent'anni ed è cambiato più volte, anche in questo settore».
È un problema l'alta percentuale di medici obiettori di coscienza?
«Assolutamente no, ci mancherebbe: il diritto all'obiezione di coscienza va salvaguardato al mille per mille».
Un'ultima domanda: che ruolo ha avuto la voce della Chiesa in tutta questa vicenda?
«Sarei tentato di risponderle nessuno, nel senso che il compito della Chiesa è quello di illuminare le coscienze. Tra gli operatori cattolici avrà avuto il suo peso, ma qui sono coinvolti anche molti operatori non cattolici. Per altro l'insegnamento della Chiesa non è solo un insegnamento di fede, ma anche un insegnamento razionale, e per sapere che la vita batte nel seno della donna anche prima che il feto venga alla luce non è necessaria la fede, bastano la ragione e la scienza. Il punto di vista della Chiesa, che in questo caso coincide con il punto di vista della ragione, illumina l'agire degli uomini e delle donne di fede, ma qui hanno partecipato alla riflessione e all'azione anche uomini e donne non cattolici e non cristiani».
Alberto Ceresoli
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